Non temere mai di dire cose insensate. Ma ascoltale bene, mentre le dici

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Kreep

Fosforo, terre rare e Potassio.

È il materiale delle rocce lunari.

Il resto è un garbuglio di elementi tra i quali sembra vi sia anche acqua in qualche modo.

Causa campi magnetici, moto orbitale e quant’altro, da sempre influenza la vita della Terra e dell’uomo. Smuove maree, cambia gli umori, i raccolti, a volte eclissa perfino il sole. Ci sono pietre, ricordo il quarzo ialino ad esempio, che “caricate” alla luce Lunare pare abbiano effetti benefici sugli esseri viventi.

Ognuno di noi l’ha fotografata almeno una volta nella vita. Poemi, racconti, leggende, Divinitá attribuite a lei.

Arrivarci fu l’impresa di un secolo, il grande passo per l’umanità. Ancora oggi si gareggia per rimetterci piede. Altri dicono che in realtá non ci siamo mai stati.

Eppure, non fosse per ciò che l’universo le smuove attorno, altro non sarebbe che un sassolino tra tanti.

Non per sminuire certo la luna. Solo stasera mi viene così…

Solo per ricordare che tutto ha un valore anche per ciò che lo circonda.

Soprattutto tutto vale finché gli dai un valore.


Sapiens sapiens

Buonanotte a questa porzione di mondo cullata dal mare.

Le sue luci si spengono, si accendono le nostre.

Chissá cosa avrei pensato se avessi vissuto su questa terra un po’ di migliaia di anni prima.

Avrei ringraziato il mio Dio dal nome esotico per questo giorno e avrei dormito profondamente su un letto di foglie? O magari un albero, per paura delle belve che cacciano di notte?

Sicuramente avrei acceso un fuoco. Non doveva essere cosa facile all’epoca ma con un po’ di pratica…

Chissà.

Invece ho preso queste vecchie foto e le ho editate su smartphone con una app, solo perché le striature del cielo hanno dato al tramonto la forma di un occhio.

Quanto mi sono rincoglionito, in così pochi millenni.


Anni fà un “vecchio”…

Con la coda dell’occhio guardai nella sua direzione. Spavaldo giovane ventenne sospirai rassegnato alla predica e al racconto di vita che avrei ascoltato, ma solamente per il dovuto rispetto all’età. Una leggerezza che oggi, con quindici anni in più, non commetterei.

Sollevò la mano in segno di saluto, con quel gilet sembrava il nonno di Chaplin. Risposi con un cenno del capo voltandomi verso di lui. Non avevo alcuna voglia di chiacchierare. Era domenica, stavo lavorando, faceva caldo e le orecchie ronzavano per il sonno, per la musica e i cocktail della notte precedente.

“Buongiorno”.
“Buongiorno”.

Puntato. Il vecchio scheletro aveva camminato dritto nella mia direzione, con passo affaticato ma sicuro. I capelli completamente bianchi sembravano di zucchero filato, arruffati verso l’alto in maniera buffa, intenerivano il volto solcato da severe rughe.

“Eh… quanti ricordi, blablabla blabla…”

Partito in quarta.

Questo signore, reduce della seconda guerra mondiale, aveva vissuto appieno l’esperienza del conflitto. Catturato in Russia, era stato prigioniero per quattro lunghi anni per poi fare ritorno in Italia praticamente a piedi. Si, a piedi. Immaginate? Senza nient’altro che i vestiti che indossava. Ovviamente impiegò settimane, settimane di avventure non meno incredibili della guerra stessa. Per poi tornare finalmente a casa e scoprire che di ciò che aveva lasciato, non era rimasto quasi nulla.

Ho raccontato in breve. Ma ero davvero colpito.

Improvvisamente si fermò, con lo sguardo perso al di là di me e probabilmente anche al di là del palazzo che avevo alle spalle. Pensai che il suo ricordare l’avesse condotto momentaneamente al di là di qualunque cosa. Poi, semplicemente tornò da me, come gli fosse balenata l’idea che questo pivello non stesse ascoltando e disse:

“dura la domenica al lavoro, eh?”.

Inebetito risposi:

“eh già. Specialmente dopo una notte sveglio”.
Sorrise, cenno col capo come per dire “Ah, davvero?”. Il suo sguardo incassato tra le rughe e le sopracciglia bianche e folte divenne improvvisamente profondo e intenso. Luminoso di consapevolezza. Mi fece pensare a mio nonno quando da bambino mi spiegò che lo stelo della pianta giusta infilato in bocca non è un atteggiamento da campagnolo ma serve ad attenuare la sete.

Disse che a noi giovani piace star svegli piú di quanto possiamo permetterci e proseguì in dialetto Veneto. (mi scuso per gli errori con eventuali lettori veneti ma io provengo da terre lontane…)

“Non far il mona…”. Un modo colorito per dire di non essere sciocco.

“La fémena, te gà guardarla el dì. Al sól!” .

La donna devi guardarla il giorno. Alla luce del sole.

Signori…

Inchiniamoci alla vecchia scuola…


Legame



  Ecco un bel posto per una pippa mentale.

Più vecchio è il luogo e più sono le cose che ha voglia di raccontare…


Vecchi utensili impolverati che dondolano, mossi dal vento che sà di terra.

 

Ero uno di quei bambini che si tagliavano spesso con chiodi sporgenti e lamiere.
Uno a zero per l’antitetanica.


Beh, visto che ho fatto il richiamo…




E ad ogni graffio, penso al motivo per il quale un chiodo sporge proprio da lì.

A chi avrà lasciato cadere quei guanti…


 


  Penso quale sia la parte mancante che un tempo dava scopo, a quel chiodo..


Al significato di un legame tra due cose. 

 

Lo scopo di una prova di resistenza al tempo.

Ciclicamente verso l’eterno.

Contro ruggine, polvere, fango.


E quel piccolo pezzo rimasto lì, ostinatamente attaccato.

Malinconica testimonianza di un legame che non c’è più.

L’avevo detto che era perfetto per una pippa mentale…


 


___Scarabocchio nel vuoto_____

Sta lì. In piedi. Disegna nel vuoto.

Un cerchio imperfetto. Un anello mancante.

Come quando la prova del nove dà un risultato diverso.

Quand’è così però lo sa, c’è poco da pensare.

Bisogna rifare i conti…

Ma pensa che diversamente per le parole spesso non esiste scarabocchio che le cancelli.

È vero, volano, ma restano lì. Fluttuano più che altro. E ripiovono persistenti. Odiose.

Aspetta un treno ma ritarda, ritarda…

L’unica cosa a renderlo reale ormai è solo l’annuncio del ritardo.

Parole senza tono,  senza peso. Una voce piatta.

Presto il treno diventa relativo e pensa solo alla sua destinazione, sempre più lontana…

E a quella voce che a suo orecchio dice

“Non ancora, ancora no”.

Crudele. Non sa quanto è importante quel treno.


Medito

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Il respiro di un istinto assopito. 

In bilico tra un sogno e un incubo, nel silenzio di un mondo dove il senso delle cose è irrilevante.

Ampi orizzonti. Nuvole di pioggia leggera. Palme dorate. 

Edifici in rovina ricoperti di foglie e rampicanti.

Nell’aria rumori di spade e ossa e sangue.

Sono già stato lì.

Un’esplosione nella mia testa. La carovana dei miei sbagli.

Perché sono tornato?  

Forse è il Karma.

O magari per me il Karma è soltanto una cazzata. Non lo so più.

Cosa avrei voluto?

Il tramonto riflesso sul mare. Foglie smosse dalla brezza. 

Avrei voluto dormire, dimenticare. Illuminare l’Oblio delle insicurezze.

Riaprire gli occhi con una donna e dei bambini che sorridono.

Ma chi sono io per meritare il paradiso?

Le cose che voglio: una sigaretta. Da bere e tante, tante munizioni.


ᏣᎤᎡᎡI

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“Nel sogno correvo
su tetti umidi di pioggia, in una notte che
sembrava una porta spalancata.

Saltavo e cadevo
morbidamente più in basso, solleticato dal vertiginoso scorrere di pareti e finestre. Ancora.

Mi fermai, col fiato corto
e la gola secca. Gli occhi fissi sull’asfalto nero illuminato da

un
lampione. Il leggero brivido del vento che attraversava il colletto
sudato.

“Chiudi gli occhi
e guarda l’oscurità che hai dentro”.

Solo, in un silenzio che
ripeteva all’infinito:  “Corri”

Cosí andai via, da quel
momento senza luogo, senza tempo. Salií in macchina,

ascoltai il rumore del sangue scorrere nelle vene col sottofondo del
motore.

E pensai a progetti e
speranze e timori e delusioni e sacrifici.

Ai bivi dai quali non
sarei passato mai più.

Non vedevo una notte cupa
da trascorrere aspettando un giorno migliore.

Nel sogno la parte di me
che non avevo ascoltato sedeva comoda sul sedile posteriore,

rideva di gusto e senza
alcun riguardo.

Nel sogno tutte le domande che avevo smesso di pormi
stavano fissandomi severe dal profondo delle pupille riflesse dal
retrovisore. Avevano aggiunto al primo
punto interrogativo un bel

“e adesso?”.

Nel sogno avevo dolore
agli occhi. Nel sogno risuonava quella risata.

Continuai a guidare.”